“D’I FIORI E DE LE FOGLIE NOVE” n. 10 a cura di Gian Domenico Mazzocato

   

"D'I FIORI  E  DE  LE  FOGLIE NOVE"                                                                        n. 10                   

 

                              a cura di

                        Gian Domenico Mazzocato

"D'I FIORI E DE LE FOGLIE NOVE" n.10 a cura di Gian Domenico Mazzocato

D’I FIORI E DE LE FOGLIE NOVE
N. 10

Dante e i papi / oggi

Abbiamo già visto che Dante considera il papato una istituzione necessaria, oltre che voluta da Dio. E tuttavia i papi sono corrotti, invadono il campo della politica, traviano il popolo di Dio.
Ma che rapporti hanno i papi moderni col fustigatore della curia romana? E ne hanno recuperato il messaggio?
Papa Francesco in una sua lettera apostolica (25 marzo 2021) fa di Dante un’icona assoluta, un profeta di speranza. Scrive: “Dante, rileggendo… alla luce della fede la propria vita, scopre anche la vocazione e la missione a lui affidate, per cui, paradossalmente, da uomo apparentemente fallito e deluso, peccatore e sfiduciato, si trasforma in profeta di speranza. Nell’Epistola a Cangrande della Scala chiarisce, con straordinaria limpidezza, la finalità della sua opera, che si attua e si esplica non più attraverso azioni politiche o militari ma grazie alla poesia, all’arte della parola che, rivolta a tutti, tutti può cambiare”.
Il documento, di straordinaria lucidità, si intitola Candor lucis aeternae. Dante riconosce in sé la fragilità dei suoi contemporanei. Porta davanti a Dio il dramma personale e quello del suo tempo. Lacerato, dominato da odi radicali. E apparentemente, se non da un intervento divino, inestirpabili.
Il papa che ha il nome del santo di Assisi, non poteva non accennare a Madonna Povertà, colei che “dove Maria rimase giuso, / ella con Cristo pianse in su la croce” (Paradiso, XI, 71-72). La sposa di Francesco. “C’è profonda sintonia tra Francesco e Dante: il primo, insieme ai suoi, uscì dal chiostro, andò tra la gente, per le vie di borghi e città, predicando al popolo, fermandosi nelle case; il secondo fece la scelta, incomprensibile all’epoca, di usare per il grande poema dell’aldilà la lingua di tutti”.
Certo non fa meraviglia in un papa controcorrente. A stupire è il papa del precedente centenario, il 1921. Benedetto XV (dunque il predecessore di Ratzinger nella lista dei Benedetti, Giacomo Paolo Giovanni Battista della Chiesa, papa dal 1914 al 1922) è un papa “dimenticato”. A torto ma non per caso: pontefice del primo conflitto mondiale, ne fu incrollabile oppositore. Imperdonabile, nella retorica patriottarda. Benedetto XV dedicò addirittura un’enciclica (30 aprile 1921, l’undicesima di un papa che ne produsse ben 12) al centenario dantesco, In praeclara summorum. Uno tosto: l’anno prima, Benedetto Croce aveva pubblicato “La poesia di Dante” e l’enciclica rispondeva all’appropriazione istituzionale da parte del critico che era anche ministro della cultura.
Rivendica il diritto della Chiesa di “chiamare suo l’Alighieri” e ricorda i lavori di restauro della cappella che conserva le ceneri del poeta. Si rivolge ai professori e agli alunni delle scuole cattoliche perché mettano Dante al centro del lavoro didattico.
Nella sua opera “risplendono la maestà di Dio Uno e Trino, la Redenzione del genere umano operata dal Verbo di Dio fatto uomo, la somma benignità e liberalità di Maria Vergine Madre, Regina del Cielo, e la superna gloria dei santi, degli angeli e degli uomini”.
Con un sontuoso riconoscimento di modernità: “quantunque separato da noi da un intervallo di secoli, conserva ancora la freschezza di un poeta dell’età nostra; e certamente è assai più moderno di certi vati recenti, esumatori di quell’antichità che fu spazzata via da Cristo… Spira nell’Alighieri la stessa pietà che è in noi; la sua fede ha gli stessi sentimenti… Questo è il suo elogio principale: di essere un poeta cristiano e di aver cantato con accenti quasi divini gli ideali cristiani… coloro che osano negare a Dante tale merito e riducono tutta la sostanza religiosa della Divina Commedia ad una vaga ideologia…, misconoscono certo nel Poeta ciò che è caratteristico e fondamento di tutti gli altri suoi pregi”. Come dire: si tiri da parte D’Annunzio, vate di seconda scelta.
Quanto all’accanimento contro i suoi predecessori “si deve pur compatire un uomo, tanto sbattuto dalla fortuna, se con animo esulcerato irruppe talvolta in invettive che passavano il segno, tanto più che ad esasperarlo nella sua ira non furono certo estranee le false notizie… chi potrebbe negare che in quel tempo vi fossero delle cose da rimproverare al clero, per cui un animo così devoto alla Chiesa, come quello di Dante, ne doveva essere assai disgustato, quando sappiamo che anche uomini insigni per santità allora le riprovarono severamente?”.
Dante un poveraccio sbattuto dagli eventi, insomma. E, per il resto, non aveva tutti i torti.
La lettera apostolica di papa Francesco e l’enciclica di Benedetto XV sono scaricabili dalla rete.
https://www.vatican.va/content/benedict-xv/it/encyclicals/documents/hf_ben-xv_enc_30041921_in-praeclara-summorum.html
https://www.vatican.va/content/francesco/it/apost_letters/documents/papa-francesco-lettera-ap_20210325_centenario-dante.html