21.06.21 | La Commedia in pillole – Pillola n. 7 a cura di Giorgio De Conti

Eventi

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    La Commedia in pillole

     Pillola n.7

 

    a cura di Giorgio De Conti

 

 

                                         21.06.21

La Commedia in pillole Pillola n.7 a cura di Giorgio De Conti

 

Quando: 21- Giugno  2021
Dove: Treviso

Inf. Canto XXXIII vv.  1-6
Pillola n. 7

L'inizio di questo canto è uno dei più riusciti, solenni e giustamente famosi della Commedia, una di quelle sue parti che ormai sono entrate nel patrimonio culturale dell'umanità e arricchiscono il tesoro della memoria comune.

In primo piano, per continuare il leitmotiv del cibo appreso negli ultimi versi del canto precedente, compare la bocca, non più umana ma "fiera" come il suo pasto, del peccatore ancora senza nome. E' come se lo vedessimo quel peccator, mentre lentamente alza il capo e, particolare di grande effetto realistico, si pulisce la bocca coi capelli di chi prima rodeva fino a "guastare". E' un atto di cannibalismo quello che è stato appena mostrato, ma che, paradossalmente, permette al poeta di comporre una delle pagine più commoventi di tutto il poema. Quindi un cannibalismo realistico e insieme simbolico.

Dal punto di vista stilistico, le parole che Dante regala a questo cannibale dell'aldilà, il conte Ugolino della Gherardesca, sono tra le più eleganti che abbia mai scritto per un personaggio dell'Inferno. A cominciare da questo esordio, lento e come stanco, che ha la sua fonte nel maestro e guida del pellegrino poeta, Virgilio: "Infandum, regina, iubes renovare dolorem" (O regina tu mi ordini di rinnovare un dolore indicibile) che sono le parole che  Enea rivolge a Didone quando questa gli domanda di raccontarle la sua storia di vedovo e di esule (Eneide II, 3). E simili parole erano state pronunciate da un altro immortale personaggio dell'Inferno, Francesca da Rimini: "Nessun maggior dolore/che ricordarsi del tempo felice/ ne la miseria" (V 121-123). Lei nel secondo cerchio dell'Inferno, Ugolino nel nono, l'ultimo; Francesca dannata per amore, Ugolino  per tradimento, o meglio, visto che questo è l'ultimo episodio e forse il più importante della cantica, per odio verso i suoi simili, insomma per incapacità di amare.

Ecco il senso della lontananza da Dio, sua e di tutti i dannati: l'incapacità di comprendere l'amore, l'essenza stessa di cui è intessuta la divina sostanza. Ed ecco perché il suo dolore è disperato, mentre invece nelle parole di Francesca c'era almeno il pallido ricordo di una felicità terrena nata da un sentimento di amore, sia pure mal diretto.

Commento a cura di Giorgio De Conti.